Animazione sociale
Mensile per gli operatori sociali.
Edizioni Gruppo Abele.
Mensile. Fascicolo singolo: 6,50 €
Dal 1971 Animazione Sociale è la rivista di chi lavora nel sociale. Educatori e assistenti sociali, psicologi e insegnanti, formatori e animatori. Professionisti che a vario titolo lavorano nei servizi, nelle cooperative sociali, nelle associazioni, su problemi sociali ed educativi.
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Sommario n. 304 / 2016 (nov.)
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Perchè oggi non ci resta che dialogare
Nelle nostre mani fragili e incerte la responsabilità di dar forma insieme alle relazioni
Sergio Manghi
Ormai vertiginosamente proiettati nell’era planetaria¸ noi uomini e donne in questo tempo - del tutto inedito nella storia dell’umanità - non possiamo non scegliere di abitare la società-mondo come nostro destino¸ che non ci è dato di respingere se non a prezzi dolorosi¸ anche molto dolorosi. Solo scegliendolo¸ potremo sperare di governare almeno un poco dei processi relazionali¸ economici¸ politici e culturali di cui si alimenta linteconnessione globale delle nostre vite. Solo accogliendo pienamente il nostro esserne parte¸ potremo assumere come modalità dell’incontro quotidiano con gli altri la fraternitภrespingendo l’altra opzione oggi diffusa: la violenza
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Idee e mappe per il nuovo volontariato
Sostenere la partecipazione sociale più che l’appartenenza assoviativa
Ivo Lizzola
In una società che cambia anche il volontariato è chiamato a modificarsi. E per molti versi lo sta già facendo. Sempre più¸ infatti¸ chi opera nel sociale come volontario - ossia come cittadino attivo dentro le associazioni del territorio - si accorge che alcuni scostamenti sono già in atto. Ad esempio sempre più ci si trova ad affiancare storie più che a occuparsi di bisogni. A ricostruire fiducie più che a erogare servizi. A sostenere reciprocità evitando di riprodurre dissimmetrie. Ma c’è un cambiamento che più di altri appare strategico assumere per le associazioni: pensare che ciò a cui sono oggi chiamate nei territori sia¸ anzitutto¸ sostenere la cultura della partecipazione
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L’orizzonte della città del noi
Idee dal III Appuntamento nazionale per operatori sociali
Alessandro Bergonzoni ...[et al.]
Oggi non è venuta meno la voglia di comunitภma di quale comunità stiamo parlando? Se ne possono individuare tre tipi. Anzitutto c’è quella che io chiamo "comunità del rancore": è la comunità che si rinserra¸ la comunità contro¸ che cerca un capro espiatorio. Per fortuna c’è anche la "comunità di cura"¸ formata da tutti coloro che - come voi - si mettono in mezzo tra rancore e inclusione. Il terzo tipo è la "comunità operosa"¸ in cui ritroviamo i soggetti economici che riconoscono l’utilità del legame sociale. La domanda è: come si può ridurre la comunità del rancore e sentirci in una comunità di destino?
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Aiutare donne vittime di violenza
L’esperienza della Casa rifugio Mariposas della Città di Torino
a cura di Ezio Farinetti
Nelle nostre città ci sono case¸ non rintracciabili per ragioni di sicurezza¸ dove arrivano donne spaventate e disorientate insieme ai loro bambini¸ che talvolta sembrano non accorgersi di nulla¸ altre volte appaiono fin troppo consapevoli di quanto sta loro capitando intorno. Donne con storie diverse ma con un denominatore in comune: una dimensione famigliare di violenza con cui hanno convissuto e alla quale¸ a un certo punto¸ hanno deciso di dire basta. In questo articolo una équipe di operatrici che accompagnano queste storie prova a definire le basi dell’aiuto necessario in un momento fragile e delicato qual’è quello dell’uscita da un circuito di violenza
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Sconfinare e ri-conoscersi per partecipare
Utenti-esperti e professionisti si addomesticano per lavorare in situazioni educative fragili
a cura di Daniela Drago¸ Francesca Ruozi
Sta lievitando sempre più - nel sistema di tutela dei diritti dei bambini/e e adolescenti e delle loro famiglie in difficoltà - la consapevolezza che è vitale dar loro maggior spazio e potere: tanto nel leggere i problemi che nel cercare e costruire le possibili vie d’uscita. Significativo in questo senso il movimento nascente dei "care leavers"¸ ossia quei ragazzi che proprio perchè hanno fatto esperienze di crescita in comunità o in affido hanno oggi cose da dire sulle buone prassi legate ai percorsi di tutela. Ma perchè è ancora così difficile per i servizi aprirsi alla partecipazione degli "utenti"? E come si può far spazio al loro sapere per tutelare di più i loro diritti?
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